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giovedì 29 maggio 2014

LYSIMACHIA NUMMULARIA, ERBA SOLDINA

Il nome volgare di questa elofita strisciante allude al denaro nelle varie lingue: "erba soldina" in italiano, "two penny grass" (erba da due penny) o Moneywort in inglese, "hierba della moneda" in spagnolo non tanto per il valore che Lysimachia possiede, ma per la forma rotondeggiante delle foglie simili a monete ("nummus" in latino significa moneta).


Lysimachia nummularia o Mazza d'oro minore è una vigorosa perenne dal portamento strisciante di origini europee molto diffusa e dal carattere rustico.
E' un'erbacea delle Primulaceae costituita da foglie semplici tondeggianti che forma un ampio tappeto di fusti quadrangolari striscianti ideale per ammorbidire i bordi di uno stagno o un laghetto.


I fusti radicano ai nodi e si diffondono rapidamente aggrappandosi ovunque trovano un appiglio, sia fuori che all'interno dell'acqua in un intreccio molto decorativo che da Giugno a Settembre si arricchisce di una bella fioritura.
I fiori a 5 petali a forma di coppa sono solitari, spuntano su un corto gambo e colorano la pianta di un luminoso giallo canarino.


La crescita in altezza è limitata a 8-10 cm., sul terreno e sull'acqua Lysimachia si espande velocemente anche in maniera invasiva se posizionata in un suolo ricco e umido, al sole o mezz'ombra (si estirpa facilmente a mano se necessario).

Lysimachia nummularia è un eccellente copertura del terreno interessante per mascherare bordi antiestetici di vasche di cemento o plastica o per illuminare zone in ombra del bordo laghetto o in un giardino palustre.


Di eccellente impatto visivo è la varietà "Gold" le cui foglie opposte presentano una colorazione giallo lucido molto decorativa che nelle aree in ombra offre un eccellente contrasto di colore molto appariscente.
La varietà "Gold" presenta una crescita meno aggressiva.

Lysimachia nummularia "Gold"

Lysimachia nummularia è un'elofita di semplice coltivazione che non teme il gelo. Prospera sia in terreno acido che neutro, può essere messa a dimora immersa in 10 cm. d'acqua sul bordo di uno specchio acquatico, in terreno acquitrinoso o molto umido.

"Erba soldina" è conosciuta sin dai tempi antichi per le proprietà astringenti, detersive e vulnerarie (utilizzata per la cura delle ferite).
Il nome della pianta è associata al medico dell'antica Grecia Lisimaco che per primo ne scoprì le proprietà officinali.

lunedì 26 maggio 2014

PIANTE MAGICHE: ORTICA

Ricca di vitamine A C K, ferro, flavonoidi e carotenoidi, depurativa, diuretica, disintossicante, vasocostrittrice, emostatica, ricostituente, rimineralizzante (contiene fosforo, magnesio, potassio, calcio, silicio, manganese) cura stati anemici e problemi legati all'apparato escretore (reni, vescica), rimedio per artrosi, artriti, dermatiti, ipertrofia prostatica e calcoli renali ecc...
Costo zero.


Nulla di fantascientifico, si tratta di una comunissima erbacea, la prima pianta che da bambina ho imparato a riconoscere: l'Ortica.
I contatti accidentali con l'Ortica rimangono indelebili nei miei ricordi visto il forte effetto urticante provocato dal liquido irritante che la pianta rilascia, la sensazione di prurito e bruciore sulla pelle è un vero deterrente.


Il genere Ortica o meglio Urtica, comprende un numero elevato di piante erbacee da fiore perenni o annuali di origine Euroasiatica, Nordafricana e Nord americana.
La più diffusa è Urtica dioica o Ortica comune che comprende 6 sottospecie, 5 delle quali contengono peli urticanti cavi detti tricomi posti su foglie e steli che agiscono come aghi ipodermici, al contatto iniettano un liquido irritante composto da istamina, acido formico, acetilcolina, serotonina, leucotrieni (non sono ancora note tutte le componenti).


Ortica è un'erbacea perenne stolonifera che si diffonde rapidamente sul terreno in Primavera-Estate e morente nella stagione invernale, in particolar modo in luoghi umidi o ad alta piovosità.
Cresce spesso in zone di campagna o su ruderi e rivela una passata presenza umana.

Le radici sono di colore giallo, da esse si erigono fusti scuri e nerboruti che portano foglie verdi opposte seghettate dalla punta acuminata, alcune di dimensioni maggiori rispetto alle adiacenti.
Foglie e steli sono ricoperti di peli che nelle sottospecie non sono urticanti, in Urtica dioica si staccano al contatto e causano fitte dolorose o parestesie.


I fiori ascellari sono riuniti in grappoli e appaiono di colore giallastro o verde o violetto.

Nonostante la reazione fortemente irritante, l'Ortica ha una lunga storia nella medicina popolare, dall'età del Bronzo l'uomo ha apprezzato i principi terapeutici della pianta utilizzandola anche come fonte alimentare, di fibre e come colorante.


Come per altre piante medicinali, anche per l'Ortica la conoscenza degli effetti benefici è avvenuta in modo casuale: tentativi di alleviare la fame hanno rivelato scoperte che si sono tramandate di madre in figlia, un universo femminile che ha per secoli valorizzato i poteri terapeutici delle piante selvatiche.
Con l'Ortica le donne preparavano decotti che rendevano più digeribili i cibi.

I medici e naturopati Greci usavano la "forza bruciante" della pianta come afrodisiaco, Ippocrate, il padre della medicina, elogiava le virtù terapeutiche dell'Ortica citandone spesso i semi.


Dioscoride (circa 40-80 d.C.) medico militare ai tempi degli imperatori Claudio e Nerone, ha descritto più di 600 piante officinali conosciute e utilizzate nel mondo antico specificandone i principi terapeutici, applicazioni e istruzioni sulle preparazioni e i dosaggi.
A Roma l'Ortica era un afrodisiaco molto in voga, i suoi semi non mancacano mai nei filtri d'amore.
Gli scritti sulle erbe di Dioscoride sono stati tra i libri più importanti fino al Medioevo, un'autorità assoluta in campo medico-erboristico.

Semi

Solo Ildegarda di Bingen, figura di cui ho ampiamente parlato in un precedente post, non segue alla lettera i dettami di Dioscoride ma attinge il proprio sapere dall'osservazione e dall'esperienza.
Dell'Ortica Ildegarda consiglia di utilizzare le foglie fresche come contorno delle carni o cuocerla e servirla sottoforma di gnocchi "poichè purifica lo stomaco e ne elimina il muco".
Secondo Ildegarda l'olio derivato dal succo d'Ortica aiuta contro la debolezza di memoria:
"Chi si trova ad essere smemorato contro la propria volontà prenda delle ortiche, ne sprema il succo e gli aggiunga un po' d'olio d'oliva, e quando va a dormire lo usi per ungersi il petto e le tempie, lo faccia ripetutamente e vedrà che la smemoratezza si ridurrà".


Negli erbari rinascimentali l'Ortica viene considerata il rimedio principale tra le erbe officinali, per la cura dell'idropisia e per depurare il sangue si descrive la preparazione di un decotto di radici.
La fustigazione del corpo con un mazzo di ortiche era considerata un rimedio ai reumatismi.
Ortiche schiacciate e amalgamate con il sale venivano impiegate per la pulizia delle grandi ulcere, lesioni e tumefazioni, mischiate con il loro succo risolvevano problemi di epistassi, aggiunte al miele venivano utilizzate per la risoluzione di problemi respiratori.
Semi di ortica associati all'idromele potevano indurre il vomito e contrastare l'ingestione di cibi velenosi.

Si utilizzavano tutte le parti della pianta: fiori, foglie, semi, radici ognuna per una specifica patologia o per usi topici a scopi estetici (ad es. per ridurre la forfora e lucidare i capelli).

Peli urticanti

Oggi i vantaggi dell'ortica vengono studiati con approccio scientifico.
Le sorprese sono tante, i principi attivi benefici che la pianta possiede sono moltissimi e non ancora tutti approfonditi.

Quelle che potrebbero apparire come superstizioni medioevali sono in realtà supportate da dati concreti per la cura delle più diverse affezioni come le più comuni allergie (l'Ortica è un antistaminico privo di effetti collaterali), malattie della prostata, reumatismi, infiammazioni delle vie urinarie.
Sono stati compiuti studi promettenti riguardo gli effetti dell'Ortica sul Morbo di Alzheimer, trattamento delle anemie, emorragie, sindrome premestruale, sono stati riscontrati effetti antinfiammatori.
Viene ampiamente consigliata per lenire flussi mestruali abbondanti e per aumentare la produzione di latte materno, aiuta la digestione, la depurazione del corpo ed è un ottimo ricostituente e diuretico.

Risotto alle ortiche

In cucina l'utilizzo dell'ortica non è certo una novità, già conosciuto da Greci e Romani è continuato soprattutto nelle zone di campagna dove il prodotto abbondava.
Personalmente mi sono cimentata in un "risotto alle ortiche" e in una preparazione di "tortelloni alla ricotta e ortiche", un sapore molto simile a quello degli spinaci.
Naturalmente l'ammollo in acqua e la cottura annullano l'effetto urticante.

Fibra di ortica

L'ortica può essere consumata anche sottoforma di bevanda, per scopi tessili in sostituzione di lino o cotone, come colorante e fertilizzante naturale nell'orto.

martedì 20 maggio 2014

AMBIENTI ACQUATICI: LO SFAGNETO

Un ambiente naturale particolare e di notevole interesse è lo Sfagneto o torbiera alta costituito da un insieme di individui animali e vegetali dello stesso tipo decomposti e in parte mineralizzati prevalentemente appartenenti al genere Sphagnum.

Sfagneto

Una presenza costante ed indispensabile per la creazione dello Sfagneto è l'acqua, soprattutto piovana, l'ambiente che si costituisce ospita specie vegetali molto rare in grado di vivere in acque oligotrofiche cioè acide e povere di sali minerali.
La torbiera a Sfagno appare come una serie di collinette più o meno elevate a seconda della presenza di acqua o umidità, gli avvallamenti ne segnalano la maggior quantità.
Lo Sfagneto è un ambiente tipico dei climi temperato-freddi Nord europei, in Italia la scarsa presenza è segnalata in Toscana e in alcune zone a ridosso delle Alpi, la sopravvivenza di queste piccole aree viene spesso permessa dalle cure di volontari.

Sfagno

Il genere Sphagnum spp. comprende specie plurime di piccoli muschi dalle forme aggraziate che vivono aggregati in colonie che comprendono migliaia di individui capaci di vivere in acque oligotrofiche (acide e povere di nutrienti).
L'habitat del genere Sfagno è quello paludoso e umido dove forma densi e soffici tappeti erbosi molto resistenti capaci di sostenere pesi notevoli.

Lo Sfagno presenta piccole radici superficiali ed esili fusti che reggono numerose foglie color verde chiaro o giallo-rosato ricoperte da minuscole scaglie .
Le foglie sono costituite da cellule morte incolori che fungono da serbatoi con la capacità di assorbire notevoli quantitativi d'acqua e da altre cellule vive verdi di dimensioni minori che contengono la clorofilla.


La grande capacità di assorbimento dell'acqua di questa Briofita ne ha determinato il nome "Sfagno" che in greco antico significa "spugna".
L'assorbimento, il trasporto e la capacità di trattenere l'acqua di questo esile muschio avviene per capillarità per mezzo di un raffinato sistema di tubi.

Sfagno, cellule

In Italia, dove il clima è mediterraneo, lo Sfagneto è considerato raro, si tratta infatti di relitti delle lontane glaciazioni che hanno continuato a sopravvivere in luoghi dove l'habitat è ideale, ora sempre meno esteso a causa di  bonifiche.

Lo Sfagneto è una vera riserva di piante rare, un isola di biodiversità sempre più infrequente che può ospitare particolari forme viventi che si sono adattate all'ambiente acido e povero di sali.

Drosera rotundifolia

Drosera rotundifolia, una piccola pianta carnivora che appartiene allo sfagneto su cui radica debolmente, è in grado di nutrirsi dell'esoscheletro di insetti in decomposizione.
Altre sono le acquatiche ben adattate all'ambiente della torbiera alta come la rara Hydrocotyle vulgaris dalle inconfondibili foglie rotonde e dal portamento strisciante, la delicata Anagallis tenella, un relitto del clima atlantico che ha raggiunto l'Italia negli intervalli tra una glaciazione e l'altra.

Hydrocotyle

Tra le piante più belle che possiamo ammirare nell'ambiente umido dello sfagneto troviamo Menyanthes trifoliata ormai rarissima di cui ammiro particolarmente la precoce fioritura, Potamogeton polylonifolius simile al più comune Potamogeton natans e Rhynchospora alba e fusca, erbacee appartenenti alla famiglia delle Cyperaceae.


La presenza più o meno abbondante di sfagno garantisce la ricchezza di vita animale nello sfagneto.
Si tratta di invertebrati acquatici così piccoli da abitare in superficie la sottile pellicola d'acqua presente nella concavità delle foglie o più in profondità, l'acqua trattenuta dallo sfagno.
La quantità di microrganismi acquatici presente dipende anche dalla temperatura che varia nell'arco delle stagioni e all'interno delle 24 ore, lo sfagno è infatti un cattivo conduttore di calore.
Al di sotto di un tappeto di sfagno l'attività fotosintetica non è possibile per l'impenetrabilità della luce, l'ossigeno è assente per la presenza di funghi e batteri decompositori pertanto non esistono fonte di vita invertebrate.

L'importanza dello sfagneto è quella di creare microhabitat diversi per la grande capacità di trattenere l'acqua: basta spremere una piccola quantità di sfagno per rilevare la presenza di forme di vita microscopiche compresi resti antichissimi.

Volto di "mummia di palude"

Le torbiere a sfagno rappresentano importanti archivi del passato, la presenza di antichi resti organici come pollini, parti di esoscheletri e residui vegetali permettono importanti studi agli archeobotanici e ricerche sulle variazioni climatiche.
Le torbiere del Nord Europa hanno regalato anche importanti scoperte come numerose mummie umane ed animali di epoche storiche diverse, perfettamente conservate nei particolari più minuziosi.
Le "mummie di palude", grazie alla presenza dello sfagno che ha impedito il normale deterioramento dei corpi, appaiono intatte quasi a farle sembrare corpi sepolti in tempi recenti e non, come le moderne tecnologie di studio hanno appurato, nell'Età della pietra.

La straordinaria conservazione dei tessuti molli, capelli, impronte digitali, mimica dei volti ecc..permettono agli studiosi di aprire un'importante finestra sul nostro passato, tutto grazie ad un piccolo muschio acquatico.

Un tempo lo sfagno veniva utilizzato per la cura di ferite in sostituzione degli antibiotici o come esca per l'accensione del fuoco.


Oggi l'uso dello sfagno è riservato alla coltivazione di piante epifite come Bromeliaceae o Orchidaceae per la spiccata capacità di trattenere l'umidità, come substrato per la crescita di piante carnivore o per rivestire supporti per radici aeree.

lunedì 19 maggio 2014

LA RANA TORO (LITHOBATES CATESBEIANUS) : INVASORE ACQUATICO

Nelle zone della Pianura Padana in cui sono presenti corsi d'acqua, zone paludose, maceri e stagni è facile individuare forti "muggiti", grida simili a suoni di trombe da stadio, inquietanti rombi alieni nuovi per le nostre campagne: sono i richiami d'amore di Lithobates catesbeianus, la Rana Toro.


L'appellativo "Rana toro" deriva dal gracidare simile ad un muggito che l'anfibio emette e che ricorda quello dei bovini.

Un anuro dalle grandi dimensioni che è emigrato dall'America del Nord negli anni 30 del '900 percorrendo la rotta opposta dei nostri connazionali, sbarcato nella Pianura Padana per cercare (e trovare) fortuna si è facilmente insediato nelle aree palustri compiendo una vera invasione biologica. 


Lithobates catesbeianus è un anfibio anuro di grosse dimensioni che appartiene alla famiglia delle Ranidae e vive nella rete acquatica rappresentata da fiumi, canali, stagni, laghi e aree temporaneamente allagate.
Ha caratteristiche simili alla Rana verde comune ma la corporatura è grande e massiccia (20 cm di lunghezza zampe escluse) e peso corporeo fino a 1,5 Kg. con un capo molto grosso, pliche cutanee dorsolaterali assenti e presenza di una grande membrana timpanica.


Il colore predominante è il verde scuro con macchie unite tra loro quasi a creare un aspetto marmorizzato, zampe e capo mostrano una colorazione giallognola punteggiata di grigio.
La bocca ampia è situata in una grande testa dal muso appiattito, le zampe posteriori molto lunghe rappresentano il 50% della lunghezza totale del corpo.
I maschi hanno dimensioni minori rispetto alle femmine.

Lithobates catesbeianus conduce una vita strettamente legata all'ambiente acquatico permanente, preferisce acque lentiche e calde ricche di vegetazione palustre dal fondale melmoso, zone con residui vegetali come tronchi caduti, anse di fiumi, paludi e canneti.
Dove la corrente è maggiore, si ripara in zone assolate e riparate.


La Rana toro rimane in uno stato di ibernazione in tane e gallerie scavate nel fango sommerso dall'acqua fino a che la temperatura dell'acqua in cui vive raggiunge i 16°C..
L'anuro svolge la maggior attività oltre i 26° C. soprattutto nelle ore crepuscolari e notturne di giornate umide o piovose in territori che il maschio controlla per un raggio di 2-5 m.

Lithobates catesbeianus  può compier lunghi spostamenti alla ricerca di un territorio adatto alla riproduzione in cui controlla i nidi di più femmine.
E' un animale molto prolifico: nel periodo estivo la femmina depone un numero elevato di uova racchiuse all'interno di masse gelatinose che galleggiano sulla vegetazione sommersa.
Le larve hanno tempi di metamorfosi prolungati, i girini appaiono di grandi dimensioni e si alimentano con materiale vegetale e plancton.
Occorrono 3-4 anni prima che lo sviluppo sia completo.


La Rana toro è un predatore molto vorace, tende agguati alle sue prede ed è in grado di catturare animali anche pari alla sua taglia.
Ci ciba di rettili, mammiferi altri anuri e pratica anche il cannibalismo, riesce senza problemi a catturare i pulcini di uccelli che nidificano sulle sponde degli specchi acquatici.
Anche la specie Bufo, che comprende gli anfibi anuri chiamati Rospi, fa parte delle prede della Rana toro che non risente minimamente delle secrezioni tossiche ghiandolari emesse dalle parotidi dei Rospi.


Al di fuori dell'areale originale da cui proviene, Lithobates catesbeianus è considerato una specie invasiva e dannosa per la popolazione autoctona sia per la voracità con cui si alimenta, sia perchè vettore di patologie.
Nelle zone di origine la Rana toro è un'importante fonte di cibo per grossi rettili (serpenti, alligatori) pesci di taglia importante, orsi e rapaci.


In Italia la specie alloctona sta contribuendo al declino della più piccola Rana verde comune, ormai rara negli stagni della Pianura Padana.

Vorrei però sottolineare che la prima causa di perdita di alcune biodiversità è l'uomo che modifica gravemente l'ambiente naturale in cui vive.

venerdì 16 maggio 2014

EQUISETUM HYEMALE, UN FOSSILE VIVENTE

L'aspetto sorprendente di Equisetum hyemale fornisce un punto focale sulle sponde di un giardino d'acqua, un vero elemento architettonico, un'importante presenza che non può passare inosservata.

Il nome di questo genere deriva dal greco antico e significa "crine di cavallo" per l'aspetto che i sottili fusti ravvicinati presentano .
Equisetum hyemale è una pianta molto antica unica superstite di un genere che risale al periodo Devoniano (oltre 350 milioni di anni fa), un vero fossile vivente ora associato alle Felci anche se macroscopicamente di aspetto molto diverso.


Equisetum hyemale è una pianta acquatica perenne dotata di una forte attrattiva: i fusti sono ritti ed elevati come bambù gradevolmente circondati da fascia argentata seguita da anelli neri per la presenza di silice.
Questa palustre è considerata una Pteridophyta cioè una Felce che forma colonie accattivanti tramite robusti stoloni sotterranei neri.


Equisetum hyemale è una sempreverde a crescita rapida classificata come pianta invasiva, di facile coltivazione, estremamente robusta e resistente al gelo come si evince dal nome (hyemalis= invernale).
L'habitat ideale è rappresentato dalle rive di fiumi e torrenti anche soggette ad inondazioni periodiche e in zone costantemente umide, sia in pieno sole che all'ombra.
Cresce spontaneamente in tutte le fasce a clima temperato-freddo di Eurasia e America.


Equisetum hyemale si presenta con rigidi steli cavi lunghi sino ad 1,5 metri di altezza e con un diametro massimo di 4-6 mm. che si assottigliano verso la sommità.
Il colore è verde scuro brillante intervallato dal nero degli internodi (da 10 a 30) che sono costituiti da solchi e creste esterne, i fusti in genere sono privi di ramificazioni laterali, alla base e agli internodi appaiono piccole foglie che si fondono in una guaina grigio-cenere.

Al tatto gli steli sono molto ruvidi e leggermente rigonfi sugli internodi per la presenza di silice, un tempo infatti venivano utilizzati allo stesso modo della carta vetrata per lucidare il legno o per la pulizia del vasellame.


A seconda della fascia climatica, da Gennaio a Maggio, sulle punte degli steli compaiono stroboli ovoidali, cioè piccole pigne scure che contengono le spore, come tutte le Felci infatti la pianta non produce fiori o semi.

Equisetum hyemale è in grado di arredare con la sua presenza i contorni di un gioco d'acqua dalle forme più moderne o le zone marginali di uno specchio acquatico come un vero oggetto di design.
E' una pianta antichissima dall'aspetto ultra moderno e di notevole valore ornamentale che non richiede molta cura adatto ad un giardino formale o in stile orientale.


Preferisce posizioni assolata o in mezz'ombra, terreno di qualunque genere sempre umido o paludoso, per controllarne l'invasività consiglio la coltivazione all'interno di contenitori che ne limitano l'espansione.
Le potature non sono necessarie, basta rimuovere i rami secchi o deteriorati.


L'aspetto peculiare di Equisetum hyemale disegna una perfetta barriera da inserire in un terrazzo, magari alloggiando la pianta in un contenitore dallo stile moderno o esotico, un vero punto di attrazione magari accanto ad un allegro zampillo d'acqua.








giovedì 15 maggio 2014

IMMAGINI DA "GIARDINI E TERRAZZI" 2014



Giornate di lavoro intenso, momenti di sconforto perchè qualcosa non funziona, paranoie infinite, corse contro il tempo, perfezionare ciò che forse è già perfetto, ansia divorante, voler rifare tutto all'ultimo secondo...
Questo è il clima frenetico che ha preceduto l'apertura della mostra-mercato, poi tutto ha preso il via con grande affluenza di pubblico e clima estivo.

Il mio progetto "La Forma dell'acqua"

La 12^ edizione di "Giardini e Terrazzi" che i Giardini Margherita di Bologna ha orgogliosamente ospitato è stata un tripudio di colori e aromi, i fiori più incredibili (mi sono autoimposta di non acquistare piante compulsivamente!!) Tantissimi partecipanti da tutta Italia e "Il Giardino delle Naiadi", l'unico progetto totalmente acquatico.

 

Un progetto complicato da gestire, non è semplice contenere la forza dell'acqua!


Le grandi Koi hanno lasciato a bocca aperta grandi e bambini, tutte le Ninfee in fiore come fossero tra loro d'accordo hanno meritato complimenti e sguardi ammirati.




Molti i commenti, i più gratificanti quelli dei bambini che all'interno del mio progetto "La forma dell'acqua" si sono scatenati e divertiti ad ammirare e toccare.


Tre giorni a contatto con il pubblico, poi tutto deve sparire...


Arrivederci alla prossima edizione!