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lunedì 11 marzo 2013

I FRUTTI DIMENTICATI

Alcuni giorni fa, assieme a Chiara, l'archeologa di famiglia, stavo osservando la ricostruzione in computer grafica di alcuni dei più bei giardini di Pompei ed Ercolano.
Ciò che stupisce è la raffinata bellezza di questi meravigliosi luoghi adatti al riposo e alle cene importanti o di svago in cui canali d'acqua, fontane, patii, e piante da frutta la fanno da protagonisti.
Non c'è nulla di antico in questi giardini, ogni minimo particolare è curato per rendere il luogo una delle parti più importanti della domus, sono così perfetti da poter utilizzare il progetto vecchio di 2000 anni anche in una residenza moderna.


Frutti antichi

Quello che abbiamo invece perso, nostro malgrado, è il sapore e il profumo dei frutti antichi, i frutti dimenticati.
Non occorre andare troppo indietro nel tempo: i frutti che i nostri nonni mettevano sulla tavola erano coltivati all'interno dei propri poderi o acquistati localmente, tipici di una determinata stagione e territorio.
Era il contadino stesso a privilegiare quelle piante più robuste o che davano la frutta più dolce e resistente, con la migliore qualità  addomesticando le piante con pratiche colturali condivise a livello locale.

Esposizione di frutti antichi

Perdere i frutti antichi non significa solo perdere le biodiversità, ma anche le tradizioni e l'identità locale, la memoria di una comunità.
Oggi si coltiva solo il 10% delle tipologie di frutta, vengono privilegiate varietà moderne che le industrie alimentari e sementiere impongono senza tener conto del territorio e delle qualità organolettiche.

La commercializzazione moderna richiede prodotti sempre più standardizzati, dai sapori uguali e costanti nel tempo.
Gli agricoltori vengono così scoraggiati a coltivare prodotti non richiesti dal
mercato provocando la perdità di quell'eredità locale fatta di leggi non scritte.


Anche il territorio subisce gravi danni, le monocolture eliminano la diversità paesaggistica con territori monotoni e degradati.
L'abbandono delle colture tradizionali ha permesso l'avanzamento di boscaglia su luoghi precedentemente coltivati, impoverito il terreno che viene eccessivamente sfruttato con colture intensive, senza rotazione e con uso massiccio di diserbanti.
Le tipiche coltivazione a terrazza molto diffuse in Italia, sono a rischio di totale abbandono perchè inadatte all'uso di macchinari, questo provoca dissesto idrogeologico e allontanamento della fauna selvatica.

Vitigni antichi

La perdita dei frutti antichi è la perdita di sapori autentici, la scomparsa di saperi legati ai diversi territori.
L'Italia è il Paese europeo più ricco di biodiversità sia per la vasta differenza di territori e climi e identità culturali.
I frutti antichi fino al dopoguerra erano normalmente coltivati, fornivano sostentamento in ogni stagione ed erano utilizzati come medicamenti per curare piccoli malanni.
C'era sempre un frutto disponibile, mele e pere che maturavano da maggio a ottobre, albicocche, ciliegie e uve da consumare al momento o da trasformare in gustose marmellate o conservare essiccate per l'inverno.
La castagna poi era il totale alimento nei lunghi inverni nelle comunità montane, secche e zuccherate si trasformavano in caramelle per i bambini come i fichi secchi al Sud.


Tutto ciò che il contadino piantava aveva uno scopo, gli alberi rappresentavano anche un'eredità per figli e nipoti: alla nascita di un maschio si piantavano alberi da frutta che potessero poi sfamare la sua futura famiglia, in Emilia alla nascita di una figlia femmina si piantavano pioppi da abbattere e vendere per ricavare denaro per la dote quando sarebbe andata in sposa.
Piantare una vigna significava aver una buona produzione da donare ai figli, un oliveto invece era destinato ai futuri nipoti.


I frutti antichi hanno perso il loro valore perchè a livello commerciale scarsamente produttivi: di piccola taglia, facilmente deperibili anche se più resistenti alle malattie e più adattabili al territorio.

Grazie all'amore di cultori e appassionati, i frutti antichi e dimenticati sono oggetto di studio e rivalutati perche ricchi di qualità nutrizionali.
La comunità scientifica sta dedicando studi perchè i frutti antichi possano diventare i frutti del futuro, per una agricoltura ecosostenibile e una rivalutazione degli antichi sapori.


Ogni regione italiana ha una varietà di frutti antichi ricchissima, nella stessa regione da zona a zona le biodiversità sono molteplici e caratterizzano ricette tipiche del luogo.
L'attività agricola in Italia ha radici millenarie, gli alberi da frutta sono sempre stati lo scheletro che fiancheggiava canali, mulini, poderi, case coloniche con colori e atmosfere diverse da Nord a Sud.


Molti sono i frutti scomparsi dalle nostre tavole: gelsi bianchi e neri, corbezzoli, carrube, sorbi, azzeruoli, cornioli, fichi e tanti tipi di pere, mele, albicocche, ciliegie, uva....


In questo post vorrei citare i frutti dimenticati della mia Regione, l'Emilia-Romagna, ancora ricordo sapori diversi da oggi e come fosse di uso comune comperare la frutta dal contadino, cosa che, in estate faccio ancora.

L'Emilia-Romagna ha una grande tradizione nella produzione di frutta che risale al passato.
Le tipiche divisioni dei poderi con i loro confini regolari sono le tracce della centuriazione che gli antichi Romani hanno lasciato 2000 anni fa in una terra fertile e ricca.
Qui i Romani coltivavano l'antico Trebbiano in grandi estensioni di vigne che avevano imparato ad innestare dai Greci.


Ma già Villanoviani, Etruschi, Galli nella fertile Emilia coltivavano mele e pere:
mela Decio, pera Sementina.
In Romagna era diffuso l'olivo che nella zona aveva trovato un clima favorevole.
Nelle colline innumerevoli erano le specie di frutti come ciliegi, duroni, mandorli, pere come la Ruggine, Cocomerina, Campanella, Brutta e Buona, Nobile, Spadona, Cipolla ecc..(ne sono state censite più di 60 varietà).

Tra i meli troviamo: Musona, Paradiso, Pum Salam, Campanino, Seriana ecc..
Pesche e albicocche già nella prima metà dell'800 sono state coltivate in colture intensive.

Biricoccolo

Il Biricoccolo è un frutto antico tipico dell'area bolognese e faentina. Probabilmente è un incrocio tra albicocco e mirabolano (un marusticano), spesso si coltivava negli orti o nelle antiche pievi.
La Pera Limone e la Pera Zucca invece venivano consumate in modo curioso: le si premevano su tutti i lati poi, rimosso il peduncolo, nei caldi giorni estivi si beveva il dissetante succo dal foro.


Alcuni frutti si consumavano cotti e accompagnati ai bolliti o in altre preparazioni tipiche come ad esempio la pera Nigrèr che lessata con le castagne veniva consumata la notte di Natale oppure si preparavano i cosiddetti "savor" (sapori) con lunghe cotture e macinature della frutta.

Il Pum Salam (mela salame, per la forma allungata) si raccoglieva in ottobre e si conservava bene per tutto l'inverno in dispensa. Rappresentava una sicura fonte di cibo e si consumava col pane a colazione o a fine pasto.

Spesso nella Bassa gli alberi dei frutti dimenticati si utilizzavano come sostegno per i filari di vite o isolati nei campi per fornire ombra durante le pause di lavoro.


Riappropiarsi di questi antichi sapori è un recuperare la nostra storia e le nostre tradizioni e rilanciare l'agricoltura con il rilascio di marchi DOP e IGP, significa anche contrastare gli impatti ambientali negativi.
I frutti antichi poi hanno rivelato una maggiore resistenza ai mutamenti climatici vista la capacità di sopravvivere attraverso i secoli.

Melograno Grossa di Faenza, un singolo frutto poteva pesare 2 kg.

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